Nella pietra che stiamo scrivendo

La pietra utopica è il cosmo

Ma anche granello di sabbia

È montagna

Ma anche casa d’aquila

Incandescente se lanciata da bocca di vulcano (…)

Sempre ferma

Sempre in viaggio


Ugo Marano


Lo sperone roccioso di Pizzofalcone è caratterizzato da molteplici cavità interne che rappresentano un intreccio di storia, leggenda e ingegno umano. Queste grotte sono state utilizzate come cave di tufo dai coloni greci durante la costruzione di Parthenope. Da allora, la pietra vulcanica, facilmente lavorabile, ha fornito una base solida per per la costruzione degli edifici e lo sviluppo della città.

Sono state note come grotte platamonie, un termine che evocava le fortificazioni e i luoghi sicuri che esse rappresentavano. Le grotte venivano utilizzate come rifugi in caso di attacco e come nascondigli segreti per proteggersi da nemici o per conservare beni preziosi. Il labirinto sotterraneo di cunicoli e camere segrete creava un ambiente perfetto per il mistero e l’avventura, facendo parte integrante del tessuto urbano e sociale di Napoli.

Nel tempo, le cavità di Pizzofalcone assunsero diverse funzioni. Durante la Seconda Guerra Mondiale, queste grotte offrirono un rifugio sicuro dai bombardamenti ai cittadini napoletani. che trovavano nelle antiche cave greche un riparo che le moderne costruzioni non potevano garantire. Le storie di quei giorni raccontano di intere famiglie che trovavano riparo sotto la collina di Monte Echia, sperando di sopravvivere all'orrore della guerra.

Oggi, le cavità di Pizzofalcone sono integrate nella moderna Napoli, con una delle loro parti più significative che ospita l’ascensore di Monte Echia.

Questo ascensore, che collega la parte bassa della città con la sommità della collina, rappresenta un esempio di come l'antico e il contemporaneo possano convivere in armonia. Attraverso un viaggio che attraversa la storia, i visitatori possono scoprire un pezzo della città che, pur evolvendo nel tempo, conserva ancora l'eco delle sue origini greche. In un testo di Francesco Venezia e Gabriele Petrusch, dal titoli Sottosuolo napoletano: un rilievo critico, pubblicato in Domus 681, del 1987 si legge: “L’incanto del sereno arco del golfo è la malia con cui Napoli dissimula la propria natura inquietante. Si arretra la soglia dell'incontro: ingannevole ogni conoscenza superficiale. Costruita cavando il tufo su cui poggia. la città fonda il proprio senso nello strato poroso che l'ha costituita. Vive del colloquio tra suolo e sottosuolo. Appartiene al dominio del sole e delle tenebre: entrambi subisce, entrambi esprime e da entrambi trae forza. Cava-madre della propria materia e grande corpo cavo, ha moltiplicato e ordinato il naturale intrico di cupe, cavoni, cunicoli, camminamenti, antri a cui si adegua la coesione del tufo. Si è fatta conformando, sostenendo, costruendo la propria fondazione. Nello spessore del suo strato poroso si è configurata una città che della città solare contraddice cesure e impedimenti e che si nega dove l'altra cede; ma che dell'altra, più che il negativo, è la potente matrice. Per questo, lo stesso ordine riportato in superficie. Profondità orizzontali: cavità voltate si affacciano su antri naturali; dietro cortine serrate, sequenze di cortili, scale aperte, logge, giardini. L'architettura è permeabile alla luce. Gioco facile superare dislivelli impossibili. Cava-madre e terribile inghiottitrice, le strade vi spariscono imprevedibilmente nel fianco delle colline; si ric-sce per trafori, al di là delle dorsali.

Qui, ai limiti, l'apparenza del reale introduce ai misteri delle forze ctonie dominanti: verso oriente, il doppio cono inviolabile del Vesuvio; verso occidente, ai piedi della tomba di Virgilio Mago, il traforo della Crypta Neapolitana, i Campi Flegrei, l'antro della Sibilla, l'Averno - il mitico accesso al regno dei morti. Qui la realtà di Napoli si esprime sinergicamente: affiorano e dirompono acqua e fuoco, e tutte le presenze premonitrici degli sconvolgimenti

con cui si misurano la fallace serenità e la costanza dell'insediamento. Dai resti archeologici dell'acropoli di Cuma - prima colonia greca di terra-ferma, nel cui monte si aprono la crypta e l'antro della Sibilla - al Monte Echia nel cuore di Napoli - trasformato nei secoli in cava e percorso - si afferma un unico procedimento costitutivo dell'insediarsi: l'architettura, tagliata e costruita nella roccia, dà forma espressiva allo spessore del suolo e conquista alla città la dimensione del sotterraneo, ad esorcismo della natura vulcanica del sito, che ne ha determinato l'orografia mutevolissima e la tenera consistenza tufacea”.



Cave di tufo

Cavità di Monte Echia, disegni redatti da Francesco Venezia e Paolo Di Caterina, con Francesco Saverio Alessio, Marina Borelli, Consuelo De Michele, Pier Paolo Guzzo, Olavio Notaro, Nunzia Taurisano, Marilena Vicino, pubblicato in Francesco Venezia e Gabriele Petrusch, Sottosuolo napoletano: un rilievo critico, in Domus 681 (1987)