

Fondazione di Parthenope
Pizzofalcone/Monte Echia
Il promontorio di Pizzofalcone, noto anche come Monte Echia, è parte di un rilievo tufaceo che dalle colline del Vomero si protende verso il mare. Il suo tratto più interno, il colle delle Mortelle, è separato da Pizzofalcone da un vallone naturale oggi ricalcato da via Chiaia; verso il mare, invece, l’isolotto su cui sorge Castel dell’Ovo costituisce l’ultima propaggine emersa di questa formazione tufacea.
Oggi l’urbanizzazione dell’area, le frane del costone e la colmata di Santa Lucia, che ha allontanato la linea di costa, rendono difficile immaginare il promontorio di Pizzofalcone nel suo antico aspetto, quando venne scelto dai naviganti greci per fondarvi, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., l’insediamento di Partenope. Nondimeno questo sperone tufaceo rimane una traccia fisica, se non fossile, dei luoghi della prima colonizzazione greca nel Golfo di Napoli e delle sue più antiche vicende storiche e mitiche.
Fondazione di Parthenope
L’insediamento di Parthenope era uno scalo navale (in greco: epineion), facente parte di un sistema di approdi attraverso cui i Cumani, in età arcaica (VIII-VI secolo a.C.), controllavano il golfo, facendone un luogo sicuro per la navigazione. Da dove venissero i coloni greci che fondarono sia Cuma che i suoi epineia non è ancora del tutto certo: la loro madrepatria era probabilmente la città di Cuma in Eubea o, secondo alcuni, la Cuma di Eolide, in Asia Minore.
Un’altra fonte ancora (Strabone) attribuisce la fondazione di Partenope ai Rodii, ma ci sono buoni motivi per ritenere che si tratti di una tradizione priva di fondamento storico, che proietta in antico l’espansionismo rodio del III-II secolo a.C.
Evidenze archeologiche di Parthenope
Dell’insediamento di Parthenope possediamo solo dati archeologici indiretti mentre nulla è noto dall’abitato, probabilmente compromesso dall’erosione del promontorio e dall’edilizia moderna. Il principale contesto archeologico di riferimento è ancora la porzione di necropoli rinvenuta in via Nicotera nel secondo dopoguerra, durante la costruzione di un edificio privato. Le sepolture, almeno nel settore indagato, sono riferibili a due nuclei, uno più antico databile tra la metà del VII e la metà del VI secolo a.C. ed uno più recente di IV-III secolo a.C. I corredi del primo nucleo sono costituiti prevalentemente da ceramica di Corinto, di grande diffusione in età arcaica, e, soprattutto, da imitazioni di ceramica corinzia ed italo-geometrica prodotte nelle vicine Cuma e Pithekoussai (Ischia). Meno attestato ma comunque presente è il vasellame di tradizione greco-orientale. Altri dati relativamente a Parthenope provengono dal materiale ceramico rinvenuto nel cosiddetto scarico del Chiatamone, recuperato ai piedi del promontorio di Pizzofalcone nei primi anni del Novecento. I reperti, di cui non è possibile ricostruire l’originario contesto di provenienza, sono riferibili ad un orizzonte cronologico che va dalla fine dell’VIII agli inizi del V secolo a.C. e, oltre al panorama già descritto per via Nicotera, comprendono anche importazioni fenicie, ceramica ad impasto di produzione indigena e bucchero di tradizione etrusca, a testimonianza del rapporto anche con le realtà non greche della Penisola. Infine, a questi recuperi più datati è possibile aggiungere il rinvenimento, in anni più recenti ed in contesti di scavo stratigrafico, di materiali arcaici provenienti dalle indagini per la stazione metropolitana di Chiaia in piazza S. Maria degli Angeli. I reperti in questo caso provengono dalle operazioni di sbancamento e livellamento dell’area di età vicereale che evidentemente dovettero intaccare contesti della fase greca. Il materiale identificato copre un orizzonte cronologico che va dalla seconda metà dell’VIII al primo quarto del V secolo a.C. e conferma un’occupazione precoce dell’area.
Nel complesso diversi rinvenimenti permettono di confermare l’esistenza di un insediamento greco sul promontorio di Pizzofalcone a partire dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C., sebbene dell’area di abitato non siano ancora state documentate tracce dirette.
Parthenope e Neapolis
Non è semplice ricostruire il rapporto tra i due insediamenti da cui discende l’odierna città di Napoli.
Sul piano cronologico se Parthenope è sicuramente più antica, per Neapolis siamo oggi in possesso di dati che testimoniano la frequentazione del pianoro su cui sorse l’insediamento già alla metà del VI secolo a.C. Un tratto di fortificazione rinvenuto in vico Soprammuro e databile agli inizi del V secolo a.C. testimonia che in questo periodo l’occupazione dell’area doveva avere già assunto la forma di una città. Secondo le fonti, Neapolis sarebbe stata fondata dai Cumani con l’apporto di nuovi coloni dalla Calcide, da Pithekoussai (Ischia) e da Atene. Lutazio antepone a questo evento la distruzione di Parthenope da parte degli stessi Cumani, invidiosi della crescita dell’insediamento minore. Successivamente, colpiti da una pestilenza, i Cumani avrebbero seguito le indicazioni di un oracolo e rifondato l’abitato con il nome di Neapolis (letteralmente “Nuova Città”). Strabone lascia intendere uno scarto temporale tra la fondazione della città e l’attribuzione del nome Neapolis, che sarebbe conseguente all’arrivo dei nuovi coloni di Calcide, Ischia e Atene. Come che sia, il ruolo svolto dagli Ateniesi nella fondazione o rifondazione di Neapolis è ben noto. Le fonti riportano anche il nome dell’artefice della spedizione, l’ammiraglio Diotimo, mosso anch’egli da un oracolo che l’aveva invitato a rendere omaggio alla Sirena Partenope e ad istituire in suo onore un agone ginnico con lampadodromia (corsa con la fiaccola). Dall’incrocio di dati storici e fonti antiche è plausibile collocare la spedizione di Diotimo intorno al 440 a.C. Ancora durante l’assedio da parte dei Romani del 326 a.C. i due insediamenti di Parthenope e Neapolis risultano entrambi esistenti, pur facenti capo ad un’unica entità politica. Sarà solo dopo questa data e dopo l’alleanza con Roma che Pizzofalcone diventerà sede di lussuose residenze private come gran parte della riviera di Chiaia e del promontorio di Posillipo.
Il mito delle Sirene
All’insediamento sorto su Pizzofalcone venne dato il nome di Parthenope, una delle tre Sirene della mitologia greca, insieme alle sorelle Licosa e Ligeia. Le sirene erano creature dal corpo di uccello e dal volto di donna che, con il loro canto, ammaliavano i marinai. Rappresentavano in forma mitica le insidie a cui andavano incontro i naviganti.
Diversi sono i miti e le fonti che parlano delle Sirene, non necessariamente coerenti tra loro, ma caratterizzati da elementi comuni, tra i quali un forte legame con le coste tirreniche. Nel Libro XII dell’Odissea si racconta di come Ulisse riuscì a resistere al canto delle Sirene. A causa di tale sconfitta le tre sorelle si lasciarono morire. Con la morte perdettero la natura ostile ed assunsero invece un carattere tutelare. Il loro nome viene associato a luoghi caratteristici del paesaggio costiero tirrenico e, in quei luoghi, sono oggetto di culto. Il tema del racconto mitico è chiaro: Ulisse, prototipo del navigante temerario ed ingegnoso, domina le forze ostili e le rende benevoli. Allo stesso modo, nell’immaginario greco, i coloni portano ordine dove prima era caos e rendono sicuri mari che prima erano insidiosi.
Stefano Iavarone, Soprintendenza della Città di Napoli





